domingo, 25 de marzo de 2012

Federico Buono – Nelle celle della Redenzione

Enviado al maíl


Premessa
Il 12 Maggio subirò un processo,per furto aggravato,dopo essere stato berato con il divieto di dimora.
All’avvocato ho detto che io rifiutavo la difesa,ma lui mi ha fatto presente che lui doveva fare il suo lavoro.
Nonostante non abbia firmato nulla,e mi sia rivendicato il furto,nella mia esperienza,e nella continua ricerca antigiuridica,nell’aula
davanti al giudice e agli sbirri,io ero considerato un “diritto”.
Come diritto è il divieto di dimora,anche se io non ho scelto nulla.
Come punto di dibattito-senza occludere nessun limite a un “limite”,ci si deve chiedere come punto estremo se la latitanza e l’evasione
sia la forma di negazione totale?”
Catapultato in un assenza presente,e in una realtà di statica conformazione nell’esistere,finisco in uno sfondo nella
profondità rimanente dentro una buia cella della redenzione.
Cosa vedo? E vedo con la mia “vista”?
Posso udire e/o sentire in una privazione di prospettiva?
I miei piedi e le mie gambe attutiscono-annuendo l’assoluto vuoto percettivo-in un moto compulsivo il diffondere degli
eventi.
è come se i miei arti inferiori,avessero la parte maggiore nel muovermi,Ma sono ancora parte di me stesso,nel muovere il
mio corpo?
Entro un Sabato pomeriggio nelle celle della redenzione,ma già dopo pochi minuti infinitesimali,non so a che punto sono
e in quale punto e di quale ora..
Compresso da una forza producente subordinazione indotta,guardo le pareti-con impresse immagini descritte con il
sangue o il vomito dei miei “precedenti”- a me stesso.
Attimo dopo attimo-in un istante immobile-inoculo l’atto di spersonificazione,nell’assenza stessa di una
“prospettiva”,dentro la camera di sicurezza.
Sento una voce che sembra provenire da un mondo di allusioni immaginative.
Sento e cosa sento in questo sentire?
La voce mi chiama e mi dice “Hai bisogno?”.
Nelle celle della redenzione non c’è nulla,che non sia un giaciglio di ferro con coperte rancide.
Si,qualcos’altro c’è,è in alto,ed una specie di scatola chiusa,da dove viene la “voce”.Questo specie di reliquia contiene
all’interno luci accese sempre,
e un microfono dove poter farsi sentire.
“Si” dico,”Devo andare al cesso”.
Nella cella della redenzione ci sono io e le quattro mura che emanano odore di soporifera redenzione.
Fuori dalla statica cella,un corridoio con ad entrambi i lati gabbie alte fino al soffitto.
E ancora grandi neon con una luce che corrode i momenti dove lo sguardo volge alla ricerca di “qualcosa” da vedere.
Torno dentro e incomincio a sentire rumori che non si arrestano mai.
Penso :”pioverà?”. Poi mi accorgo che non posso saperlo,in nessun modo,ma scopro in un ritorno alla mia precedente
uscita dalla cella,che è l’acqua del cesso,che in un circolo continuo non si ferma mai.
Silenzio. Il nulla forma la temporaneità del silenzio in un tempo deformante.
Nelle celle della redenzione,il silenzio attanaglia la voce nell’intimo del proprio “essere”,e la stringe in una morsa dove in un
attimo,questo silenzio produce incubi di forme stratificate,che srradicano le esperienze e tolgono linfa vitale,in quello che
si sta vivendo.
Il dormiveglia,è il sogno che muove la realtà intorno alla stanza redentiva.
Ma nelle celle della redenzione esiste un “attorno-intorno”?
Nel dormiveglia si forma in un continuo trasalire di immagini,un mondo popolato da innumerevoli visioni che appaiono e

No hay comentarios:

Publicar un comentario